Che fine hanno fatto i vetrini contenenti liquido seminale che potrebbero portare a una svolta nel caso di lidia macchi? Ruota intorno a questa domanda, tuttora senza risposta, l’udienza del processo a carico di Stefano Binda, all’epoca amico della ragazza e sospettato di essere colui che la uccise con 29 coltellate. Accuse però sempre respinte dall’uomo. E proprio l’analisi di queste provette avrebbe potuto incastrarlo o scagionarlo. Invece non si trovano. Per ricostruire dove possano essere finite in aula ha deposto Vicenzo Pascali che eseguì le analisi disposte dal giudice di allora. Ha spiegato che 2 provette vennero inviate in Inghilterra ma il materiale non era sufficiente per estrarre un dna. Le tecniche però si sono evolute, solo un anno dopo negli Stati Uniti era stata messa a punto una tecnica molto più avanzata. Però di questi vetrini non c’è più traccia. Un’altra testimonianza è stata poi quella di don Stefano Alberto, docente di teologia ed esponente di CL, movimento di cui facevano parte sia Stefano che Lidia. Il sacerdote ha ricordato i problemi di tossicodipendenza di Binda e poi ha spiegato come all’epoca l’atteggiamento di Comunione e Liberazione fu quello della trasparenza anche nell’ipotesi fosse coinvolto un appartenente al movimento.