49 anni sono tanti ma non cancellano il dolore. Così i legali del fratello e della sorella di Cristina Mazzotti, la 18enne rapita nel 1975 a Eupilio, nel comasco, e trovata morta dopo un mese di prigionia nel novarese.
A quasi 50 anni dai fatti, la Corte d’Assise di Como è pronta a giudicare i quattro ritenuti ideatori ed esecutori materiali del delitto.
Gli imputati: Giuseppe Calabrò, presunto ideatore, Antonio Talia, ritenuto uno degli esecutori. Erano in aula ma hanno chiesto di non essere ripresi. Assenti Giuseppe Morabito e Demetrio Latella, reo confesso. Nomi di spicco dell’ndrangheta calabrese. Oggi ultra settantenni, un tempo protagonisti di una delle stagioni più nere tra gli anni ’70 e ’80. 61 le persone rapite in quel periodo in Lombardia: sequestri a scopo di estorsione, firmati dall’Anonima calabrese. Tra questi, la prima donna, fu proprio Cristina Mazzotti.
Una serata con gli amici per festeggiare la maturità. Prelevata con la forza dalla sua auto. Minacciata, chiusa in una buca così piccola che poteva solo rimanere distesa: un tubicino di plastica, l’unico canale d’aria. Nutrita con due panini al giorno, imbottita di tranquillanti per scongiurare la fuga. Lei, appartenente a una nota famiglia di imprenditori comaschi. Un fatto che nessuno, in paese ha mai dimenticato.
Inutile il pagamento del riscatto: un miliardo e cinquanta milioni di lire. La giovane non fu mai liberata: fu trovata morta un mese dopo in una discarica nel novarese.
13 le persone condannate nel corso degli anni. Oggi in aula, gli ultimi 4 imputati, grazie a una sentenza del 2015 che ha dichiarato imprescrittibile l’omicidio volontario e che ha permesso la riapertura del caso.