Una scatola con 58 fascette para-adesive, materiale che dal Comando provinciale dei carabinieri di Milano sarà ritirato dai periti e portato in aula a Pavia dove martedì prossimo comincerà l’incidente probatorio. Il nuovo filone del caso Garlasco che vede indagato Andrea Sempio per omicidio in concorso, entra nel vivo. Prima il ritiro dei reperti in caserma poi, gli stessi tecnici andranno all’Istituto di medicina legale di Pavia dove, da 18 anni, si trovano conservati i tamponi di Dna prelevati dal corpo della povera Chiara e diversi altri oggetti, raccolti nella villetta di Via Pascoli. Tra questi, la spazzatura di casa Poggi: barattoli di yogurt, una confezione di biscotti, di cereali. Forse l’ultima colazione che la vittima consumò, probabilmente con l’assassino. Resti che non sono mai stati analizzati. L’attenzione degli investigatori anche su un frammento insanguinato del tappetino del bagno e poi sulla traccia numero 10: un’impronta trovata sulla porta interna dell’ingresso della villetta e che non apparterrebbe né a Stasi né a Sempio né a nessun altro dei parenti o amici che frequentavano la casa di Via Pascoli. La speranza è che da questa para-adesiva si possa estrarre del materiale biologico confrontabile con il DNA già repertato. Elementi questi, tutti affidati all’incidente probatorio che inizierà martedì prossimo e si calcola andrà avanti per circa tre mesi.
Un’indagine complessa. Questo secondo filone si arricchisce anche di nuove strumentazioni, subentrate, oggi, a distanza di 18 anni e che, con il recente ritorno dei Ris nella villetta, nonostante sia stata reimbiancata e non sia più la stessa di quella tragica mattina, hanno permesso una ricostruzione tridimensionale della scena e misurazioni precise delle distanze tra tutte le tracce di sangue.
Le indagini della procura di Pavia, puntano ora a verificare quella che sembra sempre di più una certezza e cioè dare riscontro al fatto che Chiara Poggi, la mattina del 13 agosto del 2007, abbia reagito al suo assassino tentando una sorta di difesa. Elemento questo che, se accertato, smentirebbe totalmente la sentenza definitiva che ha invece portato alla condanna a 16 anni Alberto Stasi.