
Un fondo melmoso che fatica a restituire qualcosa anche se scandagliato, parola di chi la conosce bene, quella roggia, chiusa tra una serie di case a Tromello, nel pavese. Acque, poco profonde, piene di melma passate al setaccio un mese e mezzo fa dagli inquirenti tornati, in questo secondo filone, sullomicidio di Chiara Poggi e che vede, come unico indagato, Andrea Sempio. Un intervento durato ore che doveva restituire, ipoteticamente, larma del delitto e che di fatto ha restituito una serie di attrezzi: la testa di una mazzetta da muratore, una pinza da camino e i resti di due asce da boscaiolo. Oggetti che si credeva fossero spuntati dalle acque melmose della roggia e che invece, oggi, si scopre che sono agli atti grazie a una persona che per la prima volta entra nel caso Garlasco: un carpentiere egiziano che abita in zona e che in tempi non sospetti, nel 2018, pulendo il canale aveva trovato quegli attrezzi. Per sette anni, fino allo scorso 14 maggio, se li era tenuti nel suo deposito salvo poi consegnarli ai carabinieri di Gambolò quando ha capito che erano ciò che stavano cercando i vigili del fuoco nel canale. Presto per definirli larma del delitto. Quegli attrezzi sarebbero stati ritenuti dagli inquirenti INTERESSANTI ma non sono ancora stati analizzati. Certo, trovati nel 2018, renderebbero credibile la versione del supertestimone, raccontata oggi, sette anni dopo. Quel Gianni Bruscagin che, per bocca di una persona deceduta da tempo, ha raccontato di un parente dei Poggi, visto, la mattina del delitto, trafelato, con un borsone e soprattutto, ha raccontato di un tonfo, riconducibile forse al lancio nelle acque della stessa borsa. Bruscagin e il carpentiere egiziano non si conoscono eppure ad unirli cè un borsone di attrezzi. Una storia che prende sempre più corpo ma che non è ancora chiaro quanto e se sia legata alla di Chiara Poggi.