Da una parte chi se ne prende cura: i medici; dall’altra il Tribunale dei Minori: che dovrà scegliere a chi darlo in adozione. In mezzo, una madre, chiamata da più parti a ripensarci. Quella del piccolo Enea, abbandonato la mattina di Pasqua nella Culla per la Vita della Clinica Mangiagalli di Milano è una storia che commuove e divide. Dal reparto di Neonatologia dove il bambino è ricoverato, si apprende che è in ottime condizioni. Per ora resta affidato ai medici. La legge prevede che la madre abbia dieci giorni di tempo per riconoscerlo, dopodichè scatterà l’iter per l’adozione. Una camera di consiglio, composta da giudici onorari e togati, dovrà scegliere tra le centinaia di richieste: si calcola che ogni anno in Italia, siano almeno 500 le coppie che fanno domanda. Da queste, si arriverà a una rosa di cinque potenziali genitori, fino alla scelta definitiva. Intanto la sua vicenda continua a far discutere.
La sua storia è iniziata alle 11,40 della mattina di Pasqua. Qualcuno, si ipotizza la madre, ha sfidato il pieno giorno, confidando forse in una città vuota per le vacanze, e si è spinto fino alla Culla per la Vita. Il tempo di far alzare la serranda, 40 secondi per l’ultimo saluto, poi il passaggio nelle mani dei medici. Nel giro di un mese potrebbe già essere selezionata la famiglia più idoena. Quando il bambino sarà adottato probabilmente perderà il nome Enea, per tutelare la sua privacy, ma la lettera che gli aveva scritto la mamma, quelle righe di affetto con tanto di nome, accompagneranno per sempre il suo fascicolo.