Un corpo inserito in una fonderia non scoppia. E’ quanto stabilito dall’esperimento giudiziale disposto dagli inquirenti che indagano per far luce sulla sorte di Mario Bozzoli, l’imprenditore sparito nel nulla, la sera dell’8 ottobre del 2015, dopo una giornata di lavoro nella sua fonderia a Marcheno nel bresciano. Sette anni di indagini che hanno portato gli investigatori in una fonderia a Provaglio d’Iseo. Un impianto molto simile a quello di Marcheno dove si è cercato di capire se davvero il Mario Bozzoli fu ucciso nel forno della sua azienda.
Un test per il quale è stato utilizzato un maialino, già morto per cause naturali, di 13 chili. Eccole le fasi cruciali dell’esperimento: si intravede il fumo. Intorno consulenti e investigatori. Il risultato più eclatante: il forno non è esploso. Poi una fiammata e infine una fumata biancastra. Intorno un odore, lieve, di carne e fibre bruciate. Troppo presto per sbilanciarsi sui risultati. Da qui il riserbo assoluto di inquirenti e avvocati.
Tra i presenti, oltre alla moglie di Mario Bozzoli, anche il nipote Giacomo, unico imputato, accusato di omicidio volontario e occultamento di cadavere. L’uomo, che è già stato ascoltato in aula, si è sempre dichiarato innocente. Smentendo le voci sulle liti con lo zio. Ora, questo nuovo passaggio dell’inchiesta: un esperimento che possa far luce su un giallo che dura da sette anni.