Il gesto di un balordo, il macabro atto di un mitomane o qualcuno che cercava qualcosa di specifico. Non sembra però si tratti di ladri, per usare le parole della procura di Busto Arsizio. Sulla tragedia di Samarate oltre al dolore si aggiunge ora anche lo sdegno e il mistero. Nella villetta di Via Torino, dove Alessandro Maja ha ucciso la moglie Stefania Pivetta, la figlia Giulia e ridotto in fin di vita il primogenito Nicolò, ci sono ancora i frammenti della porta scassinata. I sigilli degli inquirenti, rotti, sono stati rimessi dai carabinieri. E nella villa, almeno a un primo esame, sembra non manchi nulla. Resta però la gravità del gesto. Perché un tale oltraggio? Gli inquirenti al momento sono cauti e non escludono nulla: dai vandali ai mitomani fino alla terza ipotesi, quella più inquietante. Che qualcuno possa essersi introdotto nella casa per cercare documenti collegati all’attività di Maja, noto nel campo delle ristrutturazioni d’interni e con uffici sui Navigli a Milano. Una pista, questa, che al momento non trova alcuna conferma anche perché tutto quello che andava sequestrato è stato già portato via dagli investigatori.
Mistero che si aggiunge a dolore. Quello della famiglia, divisa tra il dramma per il lutto e l’ansia per Nicolò, scampato alla strage ma ancora grave in ospedale, e quello di un’intera comunità che porta fiori e messaggi davanti alla villetta del massacro. La stessa comunità che avrà modo di stringersi alla famiglia sabato, quando a Samarate saranno celebrati i funerali di Stefania e Giulia.