Massima collaborazione e una verifica interna. Così Palazzo Marino di fronte all’inchiesta che ha portato al sequestro di 8 padel nel quartiere Barona, a Milano. Un’indagine che di fatto ha sfiorato anche il Comune con quelle intercettazioni in cui sono finiti due funzionari dello Sport e lo stesso assessore, Martina Riva. Nessun indagato, nulla di perseguibile. L’unico provvedimento restrittivo resta quello nei confronti di Marco Molluso, nipote di boss ‘ndranghetisti: per gli inquirenti “socio occulto” degli impianti sequestrati a Milano e accusato dalle indagini della Dia di “ emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e autoriciclaggio”.
Già, i soldi, al centro di un sistema illecito, per dirla alla maniera degli inquirenti. Per capire i numeri dell’affare basta un’intercettazione. A parlare è Molluso: “…ogni ora e mezza ci sono quattro giocatori che pagano 15 euro cadauno…sono 60 euro ogni ora e mezza…si affittano per cinque volte al giorno: 60 per 5 sono 300 euro al giorno a campo”. In un anno per otto campi si arriva a 720mila euro.
Numeri ben diversi da quelli che fruttavano gli affitti dei campi da calcetto. Da qui si capisce il perché in città il padel sia esploso. Il 40% dei terreni si trova tra Milano e provincia, dicono le carte ufficiali. Il capoluogo lombardo vanta anche una squadra in serie A che al Premier Padel il circuito con i migliori atleti al mondo, poche settimane fa, ha chiamato in raccolta 27mila spettatori. Numeri da capogiro che non potevano, inevitabilmente, attrarre anche personaggi oscuri. Da qui il Comune, benchè estraneo all’inchiesta, è comunque finito nelle intercettazioni della Dia. Palazzo Marino oltre agli accertamenti interni ha già dato “ massima disponibilità alle indagini”. Non è neppure escluso che si costituirà parte civile.